Bereshit – Lo spazio vuoto del primo fratricidio
Nella Parashà di Bereshit assistiamo ad una storia tragica e famosa che si svolge nella seconda generazione dell’umanità, quando Kayin e Hevel (Caino e Abele), i figli di Adam e Chava, portano ciascuno un’offerta a D-o. D-o accetta Hevel e la sua offerta, ma rifiuta Kayin e i suoi sforzi. Incapace di accettare un rifiuto divino che ritiene sia senza ragione, un Kayin scoraggiato e infuriato si scaglia e uccide suo fratello, eliminando per sempre colui che percepisce essere un suo rivale. In risposta a questo atto di fratricidio, D-o decreta che Kayin trascorra il resto della sua vita in esilio. Analizzando questo passo della Torà emerge un’evidente omissione testuale nel momento culminante della storia di Kayin e Hevel. La Torà riporta: “E Kayin disse a Hevel suo fratello, e fu quando erano nel campo, e Kayin si levò su Hevel suo fratello e lo uccise” (Bereshit 4:8). Cosa disse Kayin? Perché la Torà introduce una conversazione che poi non riporta?
Prima di azzardare una o più possibili risposte è importante notare che se la Torà avesse usato all’inizio del versetto la parola vaydaber, “parlò”, al contrario di vayomer, “disse”, per descrivere la comunicazione di Kayin con suo fratello, avremmo potuto sostenere che D-o ci voleva semplicemente indicare che ebbe luogo una semplice conversazione. L’uso della locuzione vayomer, tuttavia, si riferisce sempre a una specifica comunicazione verbale, ed è invariabilmente seguito nella Torà dal testo di quella conversazione.
I Chachamim nel Midrash Rabbà suggeriscono tre possibili conversazioni che potrebbero aver avuto luogo e avrebbero portato successivamente al fatidico confronto fisico tra Kayin e Hevel. La prima ipotesi è che i fratelli decisero di dividere il mondo. Uno di loro prese possesso della terra mentre l’altro rivendicò tutti gli oggetti mobili. Non appena la divisione entrò in vigore, uno disse all’altro: “Stai camminando sulla mia terra!” mentre l’altro rispose: “Stai indossando i miei vestiti!” Ne seguì una lotta, e Kayin uccise Hevel. La seconda ipotesi è che la loro disputa non era affatto incentrata sui beni materiali, bensì sul Bet haMikdash, il Santuario che sarebbe stato costruito dagli ebrei millenni dopo. Dopo aver diviso equamente sia la terra che i beni mobili, Kayin e Hevel rivendicarono entrambi il dominio sul Tempio, sostenendo che avrebbe dovuto essere costruito nel suo dominio. Ne seguì una lotta e Kayin uccise Hevel. La terza ipotesi è che la battaglia tra i fratelli non è incentrata su nessuno dei due motivi riportati nelle ipotesi precedenti. Kayin e Hevel disputarono effettivamente per loro madre Chava (o in alternativa, per una delle loro sorelle). Ne seguì una lotta e Kayin uccise Hevel.
Questo Midrash sembra sollevare più domande che risposte. Come possono i Chachamim suggerire di conoscere il contenuto di una conversazione su cui il testo della Torà è completamente silenzioso? Dobbiamo supporre che il Midrash rifletta una visione profetica o che i Chachamim fossero in qualche modo personalmente presenti sulla scena dell’omicidio di Hevel? Inoltre, ognuno dei suggerimenti forniti dal Midrash sembra uno più bizzarro dell’altro. Come possiamo seriamente considerare, ad esempio, che Kayin e Hevel abbiano effettivamente discusso del Tempio? Il concetto stesso di Bet haMikdash non sarebbe stato introdotto nell’esperienza umana fino a secoli dopo la loro morte. Allo stesso modo, non si trova alcun indizio nel testo della Torà a sostegno dell’affermazione che Kayin e Hevel abbiano discusso di ricchezza materiale o di una donna. In parole povere, come dobbiamo interpretare l’approccio midrashico alla lotta tra Kayin e Hevel?
Queste interpretazioni apparentemente strane in realtà ci forniscono un ingresso perfetto nel mondo del Midrash. Tendiamo a dimenticare che c’è una grande differenza tra pshat (spiegazione letterale del testo biblico) e Midrash (esegesi rabbinica).
Quando operiamo nel mondo del pshat, cerchiamo il significato diretto del testo davanti a noi. In questo regno, tutto è letterale e concreto. Quando entriamo nel mondo del Midrash, tuttavia, le regole cambiano completamente. I Midrashim sono veicoli attraverso i quali i Chachamim, usando il testo della Torà come punto di partenza, trasmettono messaggi ed insegnamenti significativi. I Midrashim in quanto tali, quindi, non devono necessariamente essere presi alla lettera; né devono essere visti come tentativi di spiegare il significato fattuale di uno specifico passaggio della Torà. Utilizzando il veicolo del Midrash per trasmettere insegnamenti e valori eterni, i Chachamim collegano questi valori al testo della Torà stessa e si assicurano che gli insegnamenti non andranno perse e saranno sempre percepiti come derivanti direttamente dalla Torà. Il nostro compito, quindi, quando entriamo nel mondo del Midrash, è determinare le lezioni globali che i Chachamim intendono trasmettere. Nel Midrash che abbiamo citato, i Chachamim non stanno semplicemente spiegando la storia di Kayin e Hevel. Stanno, invece, considerando questo primo evento violento della storia umana come il prototipo dello scontro fisico attraverso i secoli. Fedeli allo stile Midrashico, esprimono significative osservazioni globali in termini concreti. Fondamentalmente i Chachamim, tramite questo Midrash, affermano che anche se non eravano presenti quando Kayin uccise Hevel, e anche se non possiamo ricavare alcuna informazione direttamente dal testo della Torà riguardo alla fonte della loro disputa, se ci chiedeste il motivo per il quale questi fratelli stavano lottando, saremmo costretti a suggerire una delle tre opzioni. Nel corso della storia umana, l’uomo ha ucciso il proprio fratello per guadagno materiale, per religione e per lussuria. Tutto lo spargimento di sangue e le guerre possono essere ricondotti a queste tre fonti primarie. Siamo quindi certi che il pomo della discordia tra i due fratelli possa essere stato una delle cause indicate dai Chachamim. Questo commento serve come un serio promemoria che l’umanità non si è poi discostata molto dal momento dell’omicidio di Hevel. Nonostante il progresso sociale, nulla è cambiato fondamentalmente. Le cause dei conflitti umani sono rimaste notevolmente costanti nel corso del tempo. Il Midrash rimane tristemente rilevante, secoli dopo la sua stesura.
Per quanto sempre attuale e affascinante possa essere il Midrash, tuttavia, non riesce a rispondere alla domanda originale che abbiamo posto. Perché la Torà non ci dice cosa disse Kayin a Hevel? Perché introdurre una conversazione per poi lasciare deliberatamente il suo contenuto non registrato?
Da un certo punto di vista, potremmo semplicemente rispondere che D-o vuole esortare ognuno di noi a riempire gli spazi vuoti, lasciando intenzionalmente una parte della Torà incompiuta per renderci partner nel testo. D-o ci sfida a leggere in quel testo la miriade di possibili lezioni che sono rilevanti per le nostre vite. Se la Torà ci avesse rivelato il contenuto del dialogo tra Kayin e Hevel, le domande non sarebbero state poste, il Midrash non sarebbe stato scritto e i suoi insegnamenti non sarebbero mai stati trasmessi.
Potrebbe esserci una ragione ancora più profonda e potente per l’omissione della Torà nel versetto. La Torà omette il contenuto delle parole di Kayin a Hevel perché D-o vuole che comprendiamo che quelle parole, qualunque esse fossero, non avevano alcuna importanza perché a volte un atto è così depravato che la sua causa e motivazione sono irrilevanti e non si può offrire alcuna scusa valida per giustificarlo. Forse Kayin aveva delle lamentele corrette nei confronti di suo fratello. Noi, tuttavia, non lo sapremo mai. Kayin perde ogni diritto alla nostra empatia e comprensione nel momento in cui uccide suo fratello. Niente può spiegare quell’atto atroce, e certamente niente può giustificarlo.
Ancora una volta, l’eterno testo della Torà, questa volta attraverso un’omissione, trasmette un messaggio che è incredibilmente applicabile ai nostri tempi. Non importa quale sia la causa, D-o vuole che impariamo che la parola e le azioni sono strumenti importanti che sono nelle nostre mani. Siamo noi a decidere se renderli meritevoli di essere scritti. Il fatto che questa Paraashà segua di poco le festività non è un caso. Anche se Kippur è passato non è mai troppo tardi per prendere un’hakhlatà tovà, un impegno, una decisione, per correggere le nostre parole e le nostre azioni. Potremo, attraverso questa decisione, migliorare noi stessi, il nostro rapporto col prossimo e, perchè no, ispirare il prossimo a fare altrettanto.