Parashat Reè – Vedere è capire

30/08/2024 Off Di Redazione

Se qualcuno ci ponesse di fronte ad una scelta, preferiremmo essere ciechi o sordi? D-o non voglia che accada mai, ma diciamo che dovessimo scegliere, quale dei due preferiremmo? Un’idea tratta dalla Parashà di questa settimana, la Parashà di Re’é interviene su questa domanda. Il primo versetto recita: “Vedi, oggi ho posto davanti a te benedizioni e maledizioni” (Devarim 11:26). La prima domanda che sorge di fronte a questo versetto è: D-o ha posto qualcosa di tangibile e visibile davanti agli ebrei? La risposta immediata è che no, D-o attraverso questo versetto sta descrivendo concetti intellettuali di benedizioni e maledizioni. Cosa intende quindi la Torà quando usa la parola “Vedi”?

Ovviamente, la parola “vedi” è figurativa ed è usata qui per riferirsi a una comprensione. Nel nostro esprimerci, usiamo “vedi” in riferimento a una comprensione di qualcosa come in “Vedi cosa ti sto dicendo?” perché la vista è il nostro senso più affidabile e forte. (Radak in Zecharia 1:9.). Per spiegare questa idea, prendiamo come esempio un cane e il suo senso dell’olfatto. Poiché il senso più affidabile e forte di un cane è l’olfatto, se potesse parlare e volesse esprimere la sua comprensione di un’idea, direbbe: “Lo sento! Ora capisco cosa intendi”. Questa spiegazione fa sorgere tuttavia un’altra domanda: Se la vista è il nostro senso più forte ed è quindi la ragione per cui la nostra Parashà inizia con quella parola, come mai in altri punti la Torà usa la parola “udire” per riferirsi alla comprensione? L’esempio più lampante si trova in una delle preghiere più famose, nello Shemà: “Ascolta, Israele, D-o Nostro Signore, D-o è Uno“. Perché la Torà non usa sempre la parola “vedere” in allusione all’interiorizzazione di una comprensione di qualcosa se questo è il nostro senso più affidabile? Inoltre, se la vista è il nostro senso più forte, l’Halachà dovrebbe considerare più seriamente responsabile chi acceca qualcuno piuttosto che chi abbia reso sordo una persona. Tuttavia, il Talmud in Baba Kama 85b stabilisce che chi rende sordo qualcuno deve pagare molto di più che se lo acceca. Non dovrebbe essere il contrario?

Per rispondere a tutte queste domande, dobbiamo introdurre un altro fattore nell’equazione oltre alla questione del senso più forte e affidabile. Quel problema è la comunicazione con il prossimo. Helen Keller una volta disse: “Se mi chiedessi: Se potessi riavere uno dei miei sensi, la vista o l’udito, quale sceglierei? Sceglierei l’udito. Essere ciechi ti taglia fuori dal mondo, ma essere sordi ti taglia fuori dal relazionarti e comunicare con le persone. Io scelgo le persone rispetto al mondo”. Il risarcimento per aver provocato danni all’udito è più alto rispetto al risarcimento previsto per i danni provocati alla vista perché perdere la capacità di relazionarsi e condividere con gli altri è una privazione più grave. La vista può essere il nostro senso più forte, ma le relazioni umane e la comunicazione sono più vitali per l’esistenza umana. La Torà, quando sceglie di usare l’espressione “vedere” o “sentire”, desidera trasmettere messaggi diversi e specifici per indicare la comprensione di qualcosa. Quando la Torà usa la parola “shema”, “ascolta”, l’indicazione è che dobbiamo prendere un impegno che coinvolge il nostro intelletto. “Re’é”, – vedi – significa che dobbiamo prendere un impegno che coinvolge le nostre emozioni. “Ascoltare” richiede una comprensione più ampia e profonda, mentre “vedere” richiede una reazione più ampia a una comprensione che è già presente. “Ascoltare” richiede una comprensione più ampia e profonda perché quando siamo in grado di ascoltare qualcuno siamo in grado di comunicare veramente bene con lui. Per quanto significativa sia la lingua dei segni per i non udenti, non può purtroppo sostituire completamente i livelli più alti e profondi di comunicazione tra le persone che si sperimentano attraverso l’udito che permette una percezione migliore. La “Vista” è usata per raccogliere le nostre emozioni a una grande reazione per una comprensione che abbiamo già perché la vista è il nostro senso più forte e affidabile. Vedere è davvero credere ed è spesso molto più facile impegnarsi in qualcosa quando la vediamo piuttosto che se la sentiamo solamente. Questo spiega una differenza molto affascinante nella fraseologia usata dallo Zohar e quella usata dal Talmud. Molto spesso, quando il Talmud presenta nuove informazioni e fatti, viene usata la frase introduttiva “Vieni e ascolta”, “Ta Shmà”. Quando lo Zohar presenta nuove informazioni, viene usata la frase introduttiva “Vieni e vedi”, “Yuh chazi”. Perché questa differenza?

Quanto abbiamo discusso, ci aiuta a capirlo. Il Talmud include tutta la Torà rivelata e razionale, che è nota come “niglé”, rivelata. Questa sezione della Torà comporta un grande e profondo pensiero logico e la comprensione dell’intelletto. Ecco perché “l’udito” è estremamente necessario, poiché “l’udito” realizza una comunicazione chiara su un piano razionale. Lo Zohar è l’opera principale del misticismo ebraico e va oltre il regno della razionalità e della logica, verso il mondo del soprannaturale e del nascosto. È “nistar”, la Torà nascosta. “Vedere” è il senso che può suscitare le nostre emozioni e una grande reazione e la funzione principale dello Zohar è quella di rafforzare le nostre passioni ed emozioni per la nostra anima e il nostro spirito. Ecco perché Rav Avraham Yeshaya Karelitz, noto come Chazon Ish, dice che quando si studia lo Zohar si sperimenta la dolcezza del nostro Padre Celeste e, probabilmente è anche questo il motivo per il quale lo studio dello Zohar è soggetto ad alcune regole ben precise.

Nel primo versetto della Parshà di Re’é, l’uso dell’espressione “vedere” è il più appropriato in base all’argomento. D-o sta descrivendo una cerimonia di giuramenti per osservare le mitzvot della Torà che prevede benedizioni e maledizioni. Questa cerimonia avrebbe avuto effettivamente luogo in linea lemporale molto più tardi rispetto al momento in cui vengono pronunciate queste parole, quando gli ebrei avrebbero attraversato il fiume Giordano per entrare in Israele. Perché allora D-o dice: “Guarda, ho posto davanti a te oggi, benedizioni e maledizioni”? Le benedizioni e le maledizioni non venivano poste davanti a loro in quel momento, quindi perché usare la prola “oggi”?
Come sappiamo la Torà non usa mai parole superflue o che non comportino un insegnamento.. Anche se secondo Rashi qui si il versetto si riferisce in effetti alla cerimonia che avverrà diversi anni successivi nella Terra di Israele sul Monte Gherizim e sul Monte Eval, lo Sforno interpreta il versetto diversamente, come un ammonimento: Fai molta attenzione in modo da non essere come le nazioni del mondo che si relazionano a tutto con scarso entusiasmo, cercando sempre di trovare una via di mezzo. Ricorda che Io ti presento oggi la scelta tra due estremi opposti. La Berachà, la benedizione, è un estremo in quanto ti fornisce più di quanto ti serve, mentre la Kelalà, la maledizione, è l’altro estremo che si assicura che tu abbia meno dei tuoi bisogni di base. Hai la scelta di entrambi davanti a te; tutto ciò che devi fare è fare una scelta.

Questo versetto apparentemente semplice, di apertura della Parashà, è in realtà pregno di significati. Dopo aver usato la comprensione che avviene attraverso l’udito, “Shemà Israel”, comprensione basilare ed importantissima, può arrivare il momento in cui sarà possibile usare la comprensione che avviene attraverso il senso della vista, Re’é, che non può esserci senza la comprensione precedente. Questo insegnamento è importante anche oggi. Molte delle opinioni e delle decisioni che prendiamo sono prese solo utilizzando uno dei sensi di cui siamo dotati, spesso il senso guidato dalle emozioni. Questo senso può però portarci a decisioni errate. La Torà ci dà le istruzioni su come dobbiamo comportarci: Come prima cosa dobbiamo capire che “Shemà Israel”. ascolta Israele, il Signore è il tuo D-o, il Signore è Uno. Successivamente saremo in grado di capire che “vehaya im shamo’a tishmà el mitzvot H’ Elokecha“, e avverrà, quando osserverai le mitzvot che il Signore tuo D-o ti dà e farai quanto è bene ai Suoi occhi, solo allora porterai la berachà nella tua vita e solo allora potrai veramente arrivare a “Re’é”, vedere che in realtà l’unica via da percorrere, anche se ci viene data la scelta del libero arbitrio, necessario perchè a livello semplicistico se non ci fosse non avrebbe senso il concetto di ricompensa e di punizione, è quella della berachà, quella che ci porterà solo benedizioni nelle nostre vite.

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