Parashat Terumà – I legni della speranza
C’è un racconto nel Talmud (Ta’anit 23a) di un vecchio che piantava un carrubo mentre il saggio Choni passeggiava. “Vecchio”, disse Choni, “che cosa stai facendo? Ti aspetti davvero di vivere abbastanza a lungo per goderti i frutti del tuo lavoro? L’ anziano si asciugò il sudore dalla fronte e scosse la testa. “Sono nato in un mondo fiorito di piaceri pronti. I miei antenati hanno piantato per me, così ora io pianto per i miei figli e per i loro dopo di loro…”
Nella Parashà di Terumà è scritto: E costruiranno un’arca di legno di acacia, lunga due cubiti e mezzo, un cubito e mezzo di larghezza e un cubito e mezzo di altezza. (Shemot 25:10). Dello stesso legno era fatto l’Aron, lo Shulchan (la Tavola d’Oro), il mizbeach hanechoshet (l’altare di rame) e il mizbeach hazahav (l’altare d’oro), utilizzato per le offerte di incenso come le assi intorno al Mishkan (“…e farai delle assi per il Mishkan di atzei shittim, omedim, in piedi.”). Per il Mishkan serviva molta legna. I Chachamim si chiedono: Dato che gli ebrei si trovavano nel mezzo del deserto dove si può presumere che trovassero il legno per questo progetto?
Ibn Ezra commenta che “…adiacente al monte Sinai, c’era un bosco di alberi di acacia”. Gli alberi di acacia non erano l’unico componente necessario per costruire il Mishkan. La costruzione richiedeva oro, argento, rame, tessuti colorati e pelli di animali. Questi, al contrario del legno, furono facilmente ottenuti da quanto gli ebrei portarono con loro nel lasciare l’Egitto. Rashi sostiene che Yaakov portò con sé gli alberi quando scese in Egitto dalla Terra d’Israele anticipando in questo modo il bisogno delle generazioni future. Un approccio realistico a questa risposta potrebbe però portarci a chiedere come sia possibile che gli ebrei non potessero acquisire gli alberi dalla gente del posto quando se ne presentò la necessità. Perché prendersi la briga di trascinare gli alberi lungo tutta la strada da Canaan a Mitzrayim? Se questo è ciò che ha fatto Yaakov Avinu, deve esserci stata una ragione, è stato fatto per insegnarci qualcosa di più grande del semplice acquisto di legname. In effetti, qualcosa da imparare c’è, e si tratta di qualcosa che è allo stesso tempo semplice e fondamentale, la speranza e l’ottimismo; una lezione che ci insegna che quando le situazioni sembrano più buie c’è una nuova alba che si avvicina. Yaakov sapeva che gli alberi di acacia si potevano trovare localmente, ma voleva che i suoi figli – piangendo nella loro miseria della schiavitù in Egitto – potessero ogni tanto alzare la testa e vedere gli alberi, alberi magnifici che erano stati piantati per loro, alberi che non solo li radicassero nella loro storia ma che permettessero loro di vedere nei loro trochi slanciati un domani migliore e più luminoso. Vedere quegli alberi avrebbe ricordato loro che erano degni, che per loro sarebbe arrivata una nuova alba.
Ma c’è qualcosa di più che ci insegnano questi legni. “E farai le assi per il Mishkan di legno di acacia, verticali, in piedi (omedim)…” Cosa ci insegna la Torà con questo dettaglio apparentemente inutile, che le assi dovevano essere verticali? Rav Soloveitchik spiega un importante principio halachico derivato da questa mitzvà. “Questo versetto è utilizzato per insegnare la regola secondo cui le assi per costruire il Mishkan devono essere tagliate dall’albero parallelamente alla direzione della crescita dell’albero e disposte in modo che la parte inferiore della tavola corrisponda alla parte inferiore dell’albero originale (derech ghidulò). Come conseguenza di questa regola, il Talmud (Sukkà 45b) chiarisce che tutte le mitzvot basate su vegetali, come lulav, hadasim e aravot, devono realizzarsi derech ghidulam, secondo il loro orientamento di crescita naturale. La possibilità per gli ebrei ancora schiavi in Egitto di vedere gli alberi, aveva una funzione, oltre che di speranza, educativa. Era importante per loro vedere come crescevano gli alberi in modo che potessero vedere come avrebbero dovuto crescere anche loro: Derech ghidulò, con i piedi ben radicati e la testa alta. Ci sono due ulteriori interpretazioni relative alle assi verticali. Una prima interpretazione si basa su un versetto successivo: “e rivestirai d’oro le assi”. Qui ci viene insegnato che il rivestimento d’oro non deve essere grande quanto l’intera tavola, ma grande abbastanza per abbellirla con decorazioni dorate. In altre parole, sono le assi a costituire la matrice dell’oro, è il legno a sostenere l’oro e non viceversa. È l’acacia ad essere dritta, verticale, non l’oro. L’oro non ha senso senza la forza del legno che lo trattiene. Un’altra interpretazione è relativa a cosa ne sarà di queste assi quando il Mishkan sarà sostituito dal Bet haMikdash. Il Talmud, in Sotà, insegna che quando fu costruito il Bet haMikdash il Mishkan e tutti i suoi arredi furono sepolti insieme all’Hechal. Non andrà mai perso, rimarrà omedim, verticale, per sempre.
Lungi dall’essere in opposizione tra loro, queste interpretazioni si completano a vicenda. Ognuna di queste interpretazioni ci insegna come continuare la tradizione e portare avanti l’eredità dei nostri antenati. Dobbiamo continuare la nostra crescita e il nostro sviluppo in modo naturale – derech gidulò – secondo il nostro orientamento naturale, verticalmente, verso l’alto. In secondo luogo, dobbiamo fare attenzione agli abbellimenti eccessivi, dobbiamo ricordare che ad essere importante è l’albero, la doratura è secondaria. L’albero, l’essenza del nostro essere, rappresenta la speranza, la crescita, il piantare radici buone per lo sviluppo e la continuità. Ci potranno essere tempeste a scuotere il nostro albero, ma con radici solide saremo in grado di crescere e di permettere di piantare altri alberi solidi, di fornire ispirazione ed influenzare positivamente chi ci sta intorno.