Parashat Noach – Tutti possiamo annegare anche in un bicchier d’acqua
Nel Talmud è scritto che il decreto di distruzione del mondo tramite il Diluvio Universale comprendeva anche Noach, se egli non avesse trovato chen – favore – agli occhi di D-o (Sanhedrin 108a). Questa affermazione sembra contraddittoria: Se Noach aveva trovato favore agli occhi di D-o fin dall’inizio (come implica il suo nome) perché fu incluso nel decreto di distruzione di massa dell’umanità? In che modo il chen salva una persona dalla distruzione divina, specialmente da un’altra alluvione? Ed infine, “D-o non ha promesso di non portare mai più il diluvio sul mondo?” Come potrebbe esserci un’altra alluvione?
I Chachamim, relativamente a quest’ultima domanda, spiegano che D-o ha promesso di non distruggere mai più il mondo con un diluvio, non ha mai promesso di non affogare una nazione, come il Faraone avrebbe imparato a proprie spese (Zevachim 116a). C’è inoltre un midrash dal quale risulta chiaro che “annegare” può avere diverse connotazioni: Rabbà bar Bar Chanà disse: Una volta ero su una barca e vidi un pesce sul cui dorso cresceva l’erba. Pensavamo fosse un’isola. Siamo scesi, abbiamo cotto e cucinato sopra. Quando la parte posteriore del pesce si è surriscaldata, si è ribaltata, e se la nostra nave non fosse stata così vicina saremmo annegati. (Bava Batra 73b). Secondo i Chachamim questo midrash è alla base di una visione messianica di un periodo in cui gli ebrei saranno in serio pericolo e la barca, rappresentata dal Mashiach, e la sua vicinanza sarà la loro salvezza. L’ “annegamento” quindi rappresenta una metafora per qualsiasi situazione che travolge una persona, e questo termine è spesso usato in questo senso. Le persone “annegano” nei debiti, “annegano” negli incarichi di lavoro, “annegano” per mancanza di shalom bayit (la pace in casa). Siamo preoccupati se “annegheremo” a causa di situazioni personali o politiche o di situazioni internazionali particolari. Abbiamo spesso la sensazione di essere sopraffatti.
Nella Torà, ci viene comandato: Ricorda i tempi antichi; rifletti sugli anni di [altre] generazioni. (Devarim 32:7). i Chachamim spiegano: Ricorda i giorni antichi – la Torà intende comandare il ricordo di ciò che D-o fece alle generazioni passate che provocarono la Sua ira. Rifletti sugli anni di [altre] generazioni – [Cioè,] la generazione di Enosh, che [D-o] inondò con le acque dell’oceano, e la generazione del Diluvio che [D-o] spazzò via. Un’altra spiegazione che i Chachamim forniscono su questo versetto è: [Se] non hai rivolto la tua attenzione al passato, allora “rifletti sugli anni delle generazioni”, cioè riconosci il futuro, che Egli ha il potere di concederti il bene e di darti come un dono (Sifre 32:6), (Rashi). Questa interpretazione implica che gli eventi, per quanto casuali possano apparire all’uomo, non lo sono e, se sono simili ad eventi del passato di cui sappiamo qualcosa, dovremmo, o meglio siamo obbligati, a fare il confronto. Ma se crediamo nel libero arbitrio, come possono gli eventi del futuro essere già modellati?.
Riconoscere la Divina Provvidenza è tra le cose più difficili. Noach dovette fare i conti con questa difficoltà ogni giorno in cui lavorò sull’arca, per ben 120 anni, durante i quali i suoi contemporanei venivano a schernirlo e a deriderlo, senza pensare nemmeno per un momento ai segni della rovina imminente che stava per abbattersi sulla loro generazione dei quali erano testimoni. La realtà è che la situazione di oggi è diversa solo in parte. Con tutto il nostro genio, tutte le nostre risorse e tutto il nostro know-how tecnologico, dobbiamo ancora trovare un modo per contenere alcuni fenomeni naturali o meno. Ad un altro livello, il terrorismo internazionale si sta rivelando mortale e difficile da contenere e può facilmente moltiplicare la sua minaccia se riesce a portare la sua gente in paesi stranieri con l’intento di causare distruzioni di massa. In questi giorni è facile vederlo ed è in un certo senso anche umiliante per l’Uomo e per le capacità che crede di possedere. Questa sensazione rappresenta un approccio errato. Il centro della questione non è il sentirsi umiliati o colpiti nel nostro orgoglio. Quello che non è casuale, quello che non è umiliante, che non rappresenta uno smacco, è la predeterminazione di cui si accennava precedentemente. Questo concetto implica che D-o ci mette davanti a delle prove, come persone singole ma anche come popolo. Queste prove sono calibrate sulle nostre capacità e rappresentano una possibilità di crescita, individuale o collettiva. Il libero arbitrio consiste nel cogliere quelle occasioni per crescere, migliorarci. A questo dobbiamo aggiungere il trovare chen, come Noach, agli occhi di D-o. Come possiamo raggiungere questo obiettivo?
Il modo di raggiungere questo obiettivo ci viene dato dalla Torà stessa, attraverso le mitzvot, emulando Avraham negli atti di chesed, attraverso l’unità, che non è da confondere con l’uniformità. Il popolo ebraico, dopo l’Esodo dall’Egitto, è composto da diverse tribù, ognuna delle quali, attraverso le proprie peculiarità, contribuisce all’unità. Nei momenti difficili non dobbiamo mai “annegare” nello sconforto. La risposta ebraica ai momenti difficili è continuare la nostra vita di ebrei come e più di prima, restare uniti ognuno con le proprie differenze e ognuno con le proprie capacità di contribuire al bene personale e comune, attraverso atti di chesed, attraverso la crescita personale e collettiva in modo da ottenre chen agli occhi di D-o e poter continuare il miracolo della continuità del nostro popolo, che sopravvive contro ogni previsione e a dispetto delle statistiche.