Kippur – Il digiuno utile
A Kippur usiamo diversi modi per farci gli auguri: Gmar Chatima Tova, Chatima Tova e Tzom Kal. Di tutti questi ce n’è uno che forse è il meno adatto per l’occasione, ed è Tzom Kal. Non perché vorremmo un digiuno difficile da sopportare fisicamente, ci mancherebbe, ma esiste un augurio che non viene usato e che forse sarebbe più appropriato, tzom mo’il (digiuno proficuo). Questo perché il digiuno di Kippur ha un significato piuttosto importante.
Nella Parashà di Ha’azinu, letta la scorsa settimana leggiamo: Porgi l’orecchio, oh cielo, e parlerò, e ascolta, oh terra, le parole della mia bocca. (Devarim 32:1)
Questo non è semplicemente un caso di licenza poetica; La dichiarazione di apertura di Moshe nella stessa Parashà è una parte cruciale del suo messaggio. Infatti, nei versetti che precedono questo discorso, Moshe rende nota la sua intenzione di invocare come testimoni il cielo e la terra:
Raduna presso di me tutti gli anziani delle tue tribù e i tuoi ufficiali, affinché io possa pronunciare queste parole ai loro orecchi e chiami il cielo e la terra a testimoniare davanti a loro. (Devarim 31:28)
Questa testimonianza è stata menzionata prima ancora, in Devarim 30:19: Prendo a testimoni in questo giorno contro di voi il cielo e la terra, che Io ho posto davanti a te la vita e la morte, la benedizione e lamaledizione; scegli dunque la vita, affinché viva tu e la tua discendenza.
Qual è lo scopo di chiamare il cielo a testimone? La risposta è semplice: Moshe sa che la sua morte è imminente e che non sarà più lì a dare una direzione al popolo, pertanto li informa che ci sono altri testimoni più permanenti che saranno sempre lì a testimoniare al suo posto. Allo stesso modo, nel suo trattato sulle Leggi della Teshuva, Rambam si riferisce a un diverso tipo di “testimonianza soprannaturale”: In cosa consiste la teshuvà? Che un peccatore abbandoni i suoi peccati e li rimuova dai propri pensieri, risolvendosi nel suo cuore di non commetterli mai più… Allo stesso modo, deve rimpiangere il passato, come afferma [Yrmeià 31:18]: “Dopo il mio ritorno, mi sono pentito.” Colui che conosce tutti i misteri testimonierà che non tornerà mai più a commettere questo peccato… Deveconfessare verbalmente ed enunciare queste questioni che ha risolto nel suo cuore. (Rambam Teshuva 2:2). Rambam afferma che uno degli elementi critici della teshuva è che “Colui che conosce tutti i misteri”, D-o stesso che solo conosce il comportamento futuro di ognuno di noi, testimonia che questa particolare persona non ripeterà mai questo peccato. Questo passaggio è stato molto dibattuto in quanto alcuni Chachamim ritengono che indichi la convinzione di Rambam che il comportamento del peccatore recidivo annulli la sua penitenza. Il peccato di cui era originariamente colpevole esiste ancora, non perdonato e non purificato, perché la successiva ripetizione del peccato dimostra che la sua penitenza non era sincera. In questa prospettiva, un peccatore è perdonato solo se non ricade mai o regredisce da comportamenti vecchi e duri a morire.
Rav Yisrael Salanter contesta questa interpretazione, sostenendo che la testimonianza di “Colui che conosce tutti i misteri” riguarda il rimorso del penitente. Pertanto, l’affermazione del Rambam riguardo la testimonianza di D-o non è indice del comportamento futuro del penitente quanto della sua attuale sincerità: Una persona deve esprimere rammarico per il proprio peccato con tale sincerità daessere disposta a chiamare su D-o come loro testimone. La testimonianza di D-o riguarda la sincerità del penitente e non attesta eventi che potrebbero o meno verificarsi in futuro. Pertanto, se una persona è sincera nella sua teshuva, viene perdonata, anche se inciampa e cade di nuovo in futuro.
Questa lettura dei commenti di Rambam rivela una conoscenza molto profonda della natura umana: ci sono – e ci sono sempre stati – momenti in cui anche i penitenti sinceri soccombono all’inclinazione al male. Il Talmud in Massechet Yoma 86b insegna che parte dell’insidiosità del peccato è che diventa abituale. Il peccatore abituale non lotta più, crea una “nuova normalità”. Tuttavia, se questa persona raccoglie la forza per fare una teshuva sincera e, nonostante la sincerità del suo rimorso e la decisione di non peccare mai più, cade comunque preda dell’inclinazione al male, sperimenterà una nuova lotta – forse ancora più feroce. rispetto alla prima. Il peccato più recente è il risultato di una nuova lotta, di un nuovo “fuoco”, estraneo all’episodio precedente per il quale era già statoperdonato.
Rav Soloveitchik si concentra sul significato del coinvolgimento di D-o in questo processo: in virtù del fatto di essere discendenti delle matriarche e dei patriarchi, ogni ebreo è dotato di una santità speciale. Questa santità trovò piena espressione nell’alleanza del Monte Sinai. È questo patto che assicura che lo status di un individuo come singolo e come nazione non possano mai essere persi. Nel libro di Devarim viene stipulato un altro patto tra D-o e ciascun ebreo come individuo. Quando una persona trasgredisce, infrange questo patto. Il peccato riesce a corromperci; oltre al cattivo comportamento, macchia l’anima del peccatore. La Teshuva cerca di correggere il peccato su due livelli distinti, in primo luogo ottenendo il perdono per il comportamento stesso, ma anche purificando l’anima, liberandola dal fardello con cui il peccato l’ha gravata. Il peccato crea una distanza tra le due parti dell’alleanza; anche quando il comportamento stesso viene perdonato, l’alienazione rimane. La fiducia deve essere ricostruita; la santità dell’alleanza deve essere restaurata. Invocando D-o come testimone del nostro pentimento, replichiamo la forgiatura del patto, in un modo simile al rinnovamento dei voti. Proprio come il cielo fu chiamato a testimone da Moshe, così anche il penitente deve invocare il Cielo come testimone quando rinnova il patto.
La Mishnà in cui viene descritto dettagliatamente il rituale dello Yom Kippur, il trattato di Yoma, si conclude con un insegnamento ottimista di Rabbi Akiva: Rabbi Akiva ha detto: Fortunato sei tu, Israele! Di fronte a chi sei purificato? E chi è che ti purifica? Il vostro Padre nei cieli, come è detto: “E io aspergerò su di voi acqua pura e sarete puri.” E dice inoltre: “La speranza (mikve) di Israele è l’Onnipotente!” Proprio come il mikve purifica l’impuro, così il Santo, benedetto Egli sia, purifica Israele.
In questo edificante riassunto del processo di teshuva, Rabbi Akiva ci allontana dalla fredda e impersonale descrizione del peccato e della punizione, dell’espiazione e della purezza che è il mondo della giurisprudenza; infatti, un giudice probabilmente “lancerebbe il libro” contro il peccatore recidivo. Rabbi Akiva trae invece una metafora dal mondo della purezza rituale. Sicuramente, questa metafora supporta una comprensione più indulgente della teshuva: una persona che si immerge nelle acque purificatrici del mikve diventerà inevitabilmente di nuovo impura. Eppure, ciò non influisce o diminuisce in alcun modo la purezza raggiunta nel momento presente. Allo stesso modo, una persona che pecca e si pente con sufficiente sincerità da invocare D-o come testimone – viene perdonata, anche se ripeterà il suo peccato in futuro.
Il rimpianto è uno strumento potente; ci permette di cancellare il passato. Stare davanti a D-o ed esprimere rammarico non solo ci libera dal passato, ma ci permette di rinnovare la nostra alleanza personale con Lui. La teshuva sincera crea un momento di purezza, in cui D-o ci purifica come con le acque pure del mikve. Anche se successivamente inciampiamo e abbiamo bisogno di essere purificati ancora una volta, quel momento di purezza non è macchiato dallo spettro di eventuali passi falsi in agguato in futuro. Questo non giustifica un lassismo nei confronti della teshuva: La testimonianza di D-o nel nostro processo di teshuva è importante ed è importante sforzarci di fare una teshuva completa, evitando di ricadere negli stessi errori. La teshuva è parte importante della nostra vita, come descritto nell’Untanè Tokef, forse una delle tefillot più belle e più tremende allo stesso tempo, insieme alla tefillà e alla tzedaka Ed è per questo che forse l’augurio più adatto che ci possiamo fare l’un l’altro è di un tzom mo’il, un digiuno che ci permettauna riflessione, un’introspezione, il capire dove possiamo migliorare facendo anche dei piccoli passi, per poter godere di un anno pieno di berachot e di soddisfazioni.