Parashat Mas’è – La vita è un viaggio a tappe
Questi sono i viaggi dei Bene Yisrael che lasciarono la terra d’Egitto nelle loro legioni, sotto la guida di Moshè e Aharon. (Bamidbar 33:1). La parola “mas’e”, da cui la Parashà di Mas’e trae il suo nome, significa “viaggi”. La Torà elenca quarantadue luoghi in cui il popolo ebraico si accampò dopo aver lasciato l’Egitto, diretto verso Eretz Yisrael. Perché è necessario specificare tutte queste località quando non ci viene indicato né cosa sia successo in quel luogo né il motivo per il quale ognuno di questi luoghi abbia importanza?
Rashi ipotizza che lo scopo di elencare ciascuna delle tappe sia quello di evidenziare la gentilezza e la compassione di D-o. Durante i quarant’anni di pellegrinaggio nel deserto, il popolo ebraico non era costantemente in movimento. Nel primo anno ci sono state quattordici fermate. Dopo la morte di Aharon, avvenuta nel quarantesimo anno, ci furono otto fermate. Questo lascia rimanenti venti fermate in trentotto anni, il che fa supporre che gli ebrei siano rimasti nello stesso luogo per almeno un anno o due. D-o non costringeva il popolo ebraico a viaggiare su base giornaliera o mensile, permettendo quindi di tirare il fiato. Il Rebbe di Lubavitch osserva che il versetto citato all’inizio di questo Devar Torà, specifica: “Questi sono i viaggi dei Bene Yisrael che lasciarono la terra d’Egitto”. Il versetto collega le tappe del viaggio verso Eretz Yisrael all’esodo dall’Egitto, e ad ogni tappa corrisponde una fermata, come se ogni singola tappa fosse stata raggiunta direttamente dall’Egitto. La lezione, secondo il Rebbe di Lubavitch, è che non dobbiamo mai accontentarci. Spesso dopo aver raggiunto determinati obiettivi che ci siamo prefissati ci sentiamo realizzati. Questo ci porta all’autocompiacimento e al sollievo per aver portato a termine il nostro compito. La pressione è sparita, possiamo rilassarci. È proprio in quel momento che dobbiamo stabilire nuovi obiettivi e sfide.
Questa è la vita, un viaggio continuo, da una stazione all’altra. Dopo aver raggiunto una destinazione, dobbiamo cercare un nuovo modo per crescere e migliorare. In questo senso, ciascuna delle quarantadue tappe era direttamente legata all’uscita dall’Egitto. Questo si riferisce non solo all’Egitto geografico, ma anche ai metzarim – limitazioni e costrizioni fisiche. Nel nostro viaggio attraverso la vita, dobbiamo agire come se non ci fossero limiti a ciò che possiamo realizzare. Nella vita sperimentiamo alti e bassi ed è importante interiorizzare e imparare da tutte le nostre esperienze. A volte siamo imbarazzati dai nostri errori. Altre volte, siamo orgogliosi dei nostri risultati. In ogni caso, dobbiamo ricordare le nostre esperienze in modo da poter imparare e correggere o migliorare le nostre azioni. Spesso cerchiamo di dimenticare una brutta esperienza o di giustificare un atto problematico. La Torà ci ricorda tutte le quarantadue stazioni per sottolineare che non possiamo riscrivere la storia. Molti dei luoghi menzionati erano luoghi in cui Am Yisrael peccò. Dobbiamo ricordare le nostre cadute per evitare che si ripetano.
Nell’elencare le tappe percorse dal popolo ebraico, vengono ripetuti i verbi vayisu, hanno viaggiato e vayachanu, si sono accampati. Questa ripetizione è fonte di diversi commenti
Il Rebbe di Slonim in Netivot Shalom offre una potente intuizione, che amplia il commento del Rebbe di Lubavitch citato precedentemente, e che è applicabile a ciascuno di noi. La vita è un lungo viaggio con più fermate lungo la strada. Il nostro compito quando arriviamo a ciascuna di queste tappe è assicurarci di avere successo in ciascuna di esse. Tutti viviamo eventi diversi nel corso della vita che ci costringono ad uscire dalla zona di comfort. Queste sono le esperienze grazie alle quali cresciamo e diamo uno sguardo alle profondità del nostro essere, che ci costringono a dare il meglio di noi stessi, esperienze che ci permettono di scoprire molteplici livelli del nostro essere e che ci permettono di superare limiti che non credevamo di poter superare. Questo rappresenta l’aspetto del “vayisu” della nostra vita. Spesso, tuttavia, tendiamo ad essere così preoccupati che non ci fermiamo ad apprezzare ciò che abbiamo guadagnato e quanto siamo cresciuti. Pertanto, abbiamo l’imperativo di coinvolgere l’aspetto del “vayachanu” in cui ci prendiamo del tempo per riflettere, osservare, attuare il cambiamento prima di andare avanti. Questo è un lavoro che dovremmo svolgere ogni giorno, prendere del tempo per fare introspezione su ciò che è stato realizzato, per vedere le aree di miglioramento prima di iniziare il cammino successivo. È fondamentale notare che il nome di questa Parashà è Mas’e, viaggi. C’è una naturale tendenza umana a rimanere in uno stato di passività. Le prime parole che D-o rivolge ad Avraham Avinu, parole che sono rivolte anche a noi, sono Lech Lechà, un comandamento che implica di fare lo sforzo di andare avanti. Rav Dessler, in Michtav meEliayhu, insegna che tutto ciò che viviamo nel corso della nostra vita, tutto ciò che ascoltiamo, vediamo e sperimentiamo, ha lo scopo di insegnarci una lezione. La vita è pensata per essere un laboratorio per la crescita e lo sviluppo personale.
Questo messaggio è attuale oggi. Nel mondo moderno è sempre più difficile fermarsi, fare introspezione e cogliere l’occasione per una crescita personale. Può succedere che facciamo errori o momenti bui. L’importante è imparare dal passato e cogliere l’occasione per superare i nostri limiti e crescere, per il nostro bene e per il bene e lo sviluppo della nostra società.