Parashat Vayakhel – Il positivo nelle difficoltà
La Parasahà di Vayakhel inizia con la mitzvà dello Shabbat. “Sei giorni il tuo lavoro sarà compiuto e il settimo giorno sarà per te santo, uno Shhabbat per Hashem”. La formulazione del versetto è molto interessante. Cosa si intende per “il tuo lavoro sarà compiuto”? Il nostro stato d’animo deve essere tale che tutto il nostro lavoro sia completato – solo allora possiamo entrare nello Shabbat correttamente. Come possiamo avere un tale atteggiamento quando sappiamo che in realtà il nostro lavoro è lontano dall’essere finito? Spesso siamo nel mezzo di molte cose il cui risultato avrà un grande impatto sulla nostra vita. La formulazione del versetto resta dunque strana.
Il nostro stato d’animo non dipende solo da ciò che sta accadendo intorno a noi, ma dipende anche dal modo in cui percepiamo gli eventi. Ci sono alcune persone a questo mondo che sono “sameach bechelkò”, soddisfatti della loro sorte. La reazione di alcuni rispetto a queste persone è che è facile essere soddisfatti quando si è finanziariamente a posto. Tuttavia, la verità è che ci sono persone facoltose che sentono il bisogno di mostrare la propria ricchezza ma che in realtà sono infelici e insoddisfatte. Non è ciò che abbiamo che modella il nostro atteggiamento, ma è il nostro atteggiamento che modella il modo in cui vediamo ciò che abbiamo. Forse questa è la chiave per comprendere il nostro essere comandati di sentire che il nostro lavoro venerdì è finito. Non è lo stato del nostro lavoro che determinerà la nostra capacità di provare una tale sensazione, ma piuttosto il nostro stato d’animo. Se una persona è soddisfatta, o felice di ciò che D-o ha dato, allora può iniziare lo Shabbat con la sensazione che tutto vada bene. Tuttavia, quando vediamo il bicchiere mezzo vuoto , iniziano i nostri guai.
Rabbenu Bechaye spiega tre ragioni per cui le persone non riescono ad apprezzare tutto ciò che D-o ha dato loro. In primo luogo le persone si concentrano sempre su ciò che non hanno rispetto a ciò che hanno. Ciò che hanno ottenuto diventa insignificante ai loro occhi, intenti a desiderare ciò che ancora non hanno. In secondo luogo, non abbiamo alcun ricordo di noi stessi al momento della nostra nascita, quando il nostro controllo sui nostri corpi era molto limitato. Quando siamo maturati e abbiamo potuto apprezzare ciò che abbiamo, avevamo già compiuto il passaggio del provare la sensazione di avere e quella di non avere. Abbiamo quindi dato per scontato ciò che già avevamo e non l’abbiamo apprezzato. Rabbenu Bechaye paragona questo atteggiamento a un bambino abbandonato che è stato accolto da un uomo ricco e benevolo. Quest’uomo trattò questo bambino come fosse suo, proteggendolo, vestendolo, educandolo e aiutandolo a diventare un bravo giovane. Quando questo ragazzo aveva circa vent’anni, suo padre adottivo venne a conoscenza di un uomo che si era indebitato ed era tenuto prigioniero e torturato dai suoi creditori. Sopraffatto dalla compassione, contattò i rapitori, diede loro del denaro in anticipo e li convinse a liberare quest’uomo e dargli la possibilità di guadagnare un po’ di soldi per ripagare i suoi debiti. Quando lo liberarono, lo fece portare a casa sua, gli fece fare il bagno, gli diede dei vestiti, gli diede un bel letto caldo e dopo due settimane era di nuovo in piedi e pronto per partire. Quest”uomo che ha ricevuto due settimane di gentilezza ha provato un apprezzamento molto maggiore nei confronti dell’uomo che l’ha accolto rispetto al giovane che ha ricevuto due decadi intere di gentilezza. Perchè è questo? Proprio perché il bambino è passato dal non avere ad avere prima di esserne consapevole, mentre l’uomo ha fatto quel passaggio quando era già adulto e consapevole.
Non dobbiamo dare per scontate le capacità che D-o ci dona. Se non siamo consapevoli di ciò che ci è stato dato, è difficile provare apprezzamento.
In terzo luogo, spiega Rabbenu Bechaye, le persone non apprezzano D-o a causa del dolore e delle difficoltà che sperimentano nella vita. Riguardo questo atteggiamento Rabbenu Bechaye fa il paragone con una persona che avendo due genitori ciechi voleva fare qualcosa per aiutare i ciechi. Decise di costruire un campus che sarebbe stato fatto su misura per loro. Niente spigoli vivi, niente svolte improvvise, medici, infermieri, terapisti disponibili per ogni loro esigenza. Quando la struttura fu pronta i ciechi cercarono di esplorare il campus da soli. Senza sapere come dovevano essere usate le cose, ciò che era stato progettato per aiutarli iniziò a ferirli. Le cose andarono di male in peggio finché maledirono il sadico che aveva costruito quella trappola e li aveva attirati in essa.
La Torà è il nostro manuale di istruzioni senza le quali quando proviamo dolore senza sapere come affrontarlo finiamo per maledire il Costruttore. Quando le persone sono arrabbiate con D-o per ciò che è andato storto nelle loro vite, non riescono a provare amore e apprezzamento per ciò che è andato bene . “Sei giorni il tuo lavoro sarà compiuto.” Se saremo in grado di concentrarci e apprezzare ciò che abbiamo sentiremo che il nostro lavoro è finito. Nella Torà è scritto che D-o riempie il Mishkan. Oggi non abbiamo più il Mishkan, ma abbiamo lo Shabbat, il tempo in cui sentiamo maggiormente la presenza di D-o tra di noi. Nella nostra vita ci sono momenti facili e momenti più difficili. Riconoscere la berachà di D-o per apprezzare quello che abbiamo, ringraziare e affrontare le sfide con le nostre capacità uniche che D-o ci ha donato è il segreto per portare la presenza di D-o e la sua berachà tra di noi