Parashat Lekh Lekhà – Un’eredità conquistata
Verso la fine della Parashà di Lekh Lekha, D-o fa due promesse ad Avraham. Il patriarca reagisce a ciascuna in modo molto diverso. D-o afferma: “Guarda il cielo e conta le stelle se puoi; così saranno i tuoi figli”. Di fronte a questa predizione, Avraham risponde con fede incondizionata. D-o poi continua: “Io sono il Signore che ti ha fatto uscire da Ur Casdim per darti questa terra in eredità“. Qui, Avraham obietta: “Come faccio a sapere che erediterò questa terra?” In risposta all’obiezione di Avraham, D-o gli ordina di macellare una serie di animali, dividere alcune delle carcasse a metà e posizionare ciascuna metà una di fronte all’altra. D-o fa quindi cadere un sonno profondo su Avraham e gli appare in visione. “Sappi“, proclama D-o, “che i tuoi figli saranno stranieri in una terra non loro, dove saranno tormentati e ridotti in schiavitù per quattrocento anni… E la quarta generazione tornerà qui…” La presenza di D-o passa quindi tra gli animali divisi e viene stipulato un patto tra D-o e Avraham, noto come Berit ben Habetarim. Perché Avraham crede alla promessa di D-o sulla progenie, ma mette in dubbio l’eredità della terra? Se è in potere di D-o benedire Avraham e Sara con dei figli dopo tanti anni di sterilità, Egli è certamente in grado di garantire che gli ebrei erediteranno la loro patria. A complicare il problema c’è il fatto che in due precedenti occasioni D-o ha già chiaramente promesso che la terra di Canaan sarà data ai discendenti di Avraham. Avraham, per qualche ragione, non mette in dubbio quella promessa fino ad ora. D’altro canto, la risposta di D-o ai dubbi di Avraham sembra strana. In che modo la previsione della schiavitù dovrebbe placare i timori di Avraham? Inoltre, qual è il significato del rituale che accompagna il Berit ben Habetarim? Infine, a un livello più profondo, in che modo questo intero episodio influenza il delicato equilibrio esistente tra prescienza, la conoscenza di D-o del futuro, e il libero arbitrio dell’uomo? Una volta che D-o ci informa del futuro, non lo sta forse predeterminando? Yosef e i suoi fratelli, le cui azioni porteranno alla discesa del popolo ebraico in Egitto, sono semplicemente attori che interpretano ruoli predeterminati?
I Chachamim del Talmud e del Midrash tracciano due connessioni dirette ma molto diverse tra la domanda di Avraham e la risposta di D-o tramite il Berit ben Habetarim. Il primo approccio percepisce la domanda del patriarca come il catalizzatore della terribile profezia di D-o. Il dubbio di Avraham sarà la causa della schiavutù in Egitto. Shemuel disse: “Perché Avraham fu punito attraverso la schiavitù dei suoi figli in Egitto per 210 anni? Poiché mise in dubbio i poteri di D-o, dicendo: “Come faccio a sapere che essi erediteranno la terra?”” Agli occhi di Shemuel, il messaggio di D-o non è di rassicurazione, ma di punizione. A causa dei suoi dubbi, i suoi figli soffriranno per la schiavitù per mano di stranieri. Allora, e solo allora, erediteranno la terra. Questo non spiega però perché Avraham dubiti di D-o e solleva inoltre la questione filosofica del perché i figli debbano essere puniti per un peccato commesso dal loro antenato. La questione se i figli siano o meno influenzati dai peccati dei genitori viene affrontata in numerose occasioni nella letteratura rabbinica. L’iterazione più nota si trova in un passaggio nel trattato di Berachot. Il Talmud nota un apparente discrepanza tra i due passaggi seguenti: “Colui che punisce l’iniquità dei padri sui figli e sui figli dei figli fino alla terza e quarta generazione”. “I padri non moriranno a causa dei loro figli, né i figli moriranno a causa dei loro padri. Ogni individuo morirà nel suo peccato”. Il Talmud risolve la contraddizione suggerendo che D-o punirà effettivamente i figli per i peccati dei genitori, ma solo se i figli persistono nel continuare a seguire le vie sbagliate dei genitori. Sulla base di questo passaggio talmudico, si può suggerire il seguente equilibrio. L’ebraismo rifiuta in modo assoluto il concetto di “peccato originale”. Non siamo responsabili dei peccati altrui. Ognuno è responsabile del proprio destino.
Tuttavia non si può negare l’idea di “riverbero intergenerazionale”. Le nostre azioni contribuiscono a plasmare la vita dei nostri figli, proprio come noi siamo, in larga misura, un prodotto delle decisioni e delle azioni dei nostri antenati. Allo stesso modo, questioni importanti come dove nasciamo, da chi, in quale ambiente e, di fatto, se nasciamo o meno, sono determinate non da noi e non solo da D-o, ma anche dai nostri genitori e da coloro che sono venuti prima di loro. I discendenti di Avraham, quindi, non sono né colpevoli né puniti per i suoi fallimenti, ma vengono influenzati dalle sue decisioni e dalle sue azioni, sia perché impareranno dal suo esempio, sia perché le azioni di Avraham creeranno una serie di circostanze che si riverbereranno attraverso i secoli e influenzeranno le generazioni a venire.
Il secondo approccio non si concentra sulla sostanza della profezia di D-o, ma sul rituale che la accompagna. “Rabbì Chiyya Bar Chanina disse: [Avraham non interrogò D-o] come un accusatore, ma piuttosto chiese: ‘Per quale merito [i miei figli erediteranno la terra]?’ D-o rispose: ‘Per le espiazioni che darò a Israele’”. Rabbì Chiyya spiega che gli animali usati nel rituale rappresentavano sacrifici specifici che sarebbero stati portati dal popolo ebraico come espiazioni attraverso i secoli. Rashi riassume l’approccio di Rabbi Chiyya: “Avraham chiese: ‘Per quale merito?’ e D-o rispose: ‘Nel merito dei sacrifici’”. Secondo questo approccio, Avraham non sta affatto mettendo in discussione il potere di D-o, ma mette in discussione il proprio merito e quello della sua progenie. Il supporto testuale per la posizione di Rabbi Chiyya è nel verbo lerishtà, “ereditare” che si trova nella Parashà quando D-o promette la terra di Canaan ad Avraham. Nella sua coniugazione attiva, questa parola non significa ereditare ma conquistare e acquisire. D-o sta dicendo ad Avraham che questa eredità non sarà un dono, dovrà essere conquistata. Quando il patriarca sente che i suoi figli dovranno partecipare alla conquista di Eretz Canaan, si rende conto, per la prima volta, che l’acquisizione della terra non è scontata e chiede: “Come faccio a sapere che faranno la loro parte? Come faccio a sapere che erediteranno la terra?” D- o gli risponde rassicurandolo che i suoi figli meriteranno davvero un ritorno in patria. La fonte di quel merito sarà la loro devozione religiosa, rappresentata dai sacrifici che offriranno nel corso degli anni. Questa rassicurazione viene poi trasmessa attraverso il rituale simbolico del Berit ben Habetarim. Mentre Rabbi Chiyya si concentra sul rituale del patto come risposta ai dubbi di Avraham, forse la profezia dell’esilio contiene un elemento di rassicurazione. D-o sta dicendo ad Avraham che i suoi figli erediteranno la terra perché quando verrà il momento di lasciare l’Egitto, saranno all’altezza della sfida. Per quel merito, erediteranno la terra. Interpretato in questo modo, il Berit ben Habetarim può anche essere visto come un presagio degli esili a venire. Nel corso della nostra storia turbolenta, saremo sfidati a mantenere la nostra integrità come popolo e a mantenere vivo il sogno di tornare nella nostra Patria. La tensione tra la prescienza di D-o e il nostro libero arbitrio raggiunge il culmine quando incontriamo un evento come il Berit ben Habetarim. L’equazione cambia radicalmente. Quanta scelta possiamo avere se sappiamo che gli eventi sono già predeterminati? Quanta scelta avevano i fratelli di Yosef riguardo alla vendita di loro fratello, il catalizzatore del nostro esilio in Egitto?
Questo argomento è stato ed è al centro di molte discussioni tra i Chachamim. Esiste un approccio secondo cui D-o dipinge ad ampie pennellate la storia ma ci permette di riempire i dettagli. Ci viene detto, ad esempio, che il Mashiach è destinato a venire, portando con sé il culmine della nostra storia. Come verrà, quando, quali difficoltà precederanno il suo arrivo e chi di noi sarà lì ad accoglierlo sono tutte questioni che sono determinate dalle nostre azioni. Allo stesso modo, mentre D-o predisse in generale che il popolo ebraico avrebbe sperimentato difficoltà in esilio, i dettagli di come quegli eventi si sarebbero concretizzati furono determinati dalle azioni delle persone. Questo rappresenta per Avraham e anche per noi una possibile consolazione. Se è vero che non abbiamo garanzie sul comportamento del prossimo, che si tratti dei nostri discendenti o dei nostri conoscenti, è vero che nel nostro piccolo possiamo fare grandi cose come creare un presente ed un futuro migliore attraverso il nostro comportamento e le nostre azioni che se positive ed encomiabili potranno porre la base per un presente e per un futuro migliore.