Parashat Emor – Un candelabro semplice ma difficile da capire
Uno dei simboli ebraici più riconoscibili, utilizzato da oltre 2000 anni, è la Menorà. Una delle prime immagini risale al regno di Antigono II Mattatia, l’ultimo re asmoneo della Giudea, che coniò monete con impresse immagini della Menorà. Troviamo la Menorà anche nell’Arco di Tito, costruito a Roma per celebrare la distruzione del Bet haMikdash nel 70 a.e.v. e la vittoria romana sulla prima rivolta ebraica. Molte immagini della Menorà possono essere viste ancora oggi nella necropoli di Bet She’arim (patrimonio mondiale dell’UNESCO), negli elaborati pavimenti a mosaico di Hamat Tiberias, Susya , Bet Alfa e Bet She’an. Utilizzata nei secoli successivi nelle località ebraiche di tutto il mondo, la Menorà fu incorporata nell’emblema ufficiale del moderno Stato di Israele nel 1949.
La Menorà ci viene presentata per la prima volta nel Libro di Shemot (25:31-40) come parte degli accessori del Mishkan (Tabernacolo) usato dagli ebrei durante il loro pellegrinaggio di quarant’anni nel deserto. Nel versetto riguardo la Menorà leggiamo: “Ordinerai inoltre agli ebrei che ti portino olio puro di olive spremute per l’illuminazione, per accendere regolarmente le lampade” (Shemot 27:20). La parola usata nel versetto per esprimere il concetto di regolarmente è “tamid”. Ma cosa significa in questo caso “regolarmente”?:
Nel libro di Vayikra è scritto: “Aharon li sistemerà nella tenda del convegno fuori della cortina della testimonianza [perché arda] dalla sera alla mattina davanti al Signore regolarmente; è una legge perpetua attraverso i secoli. Egli collocherà le lampade sul candelabro puro davanti al Signore [che brucino] regolarmente” (Vayikra 24:3-4). Anche in questo caso è usata la locuzione “tamid” intendendo ogni sera. Ciò solleva una domanda. Secondo il commento Etz Chayim, sul versetto in Shemot 27:20, citato sopra, il testo rappresenta la base per il Ner Tamid, la luce eterna, che si trova sopra l’Aron nei Bate haKenesset di tutto il mondo, una luce sempre accesa, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, mentre le luci della Menorà venivano accese regolarmente ogni sera. Come si può conciliare questo?
In un altro versetto della Torà, sempre riguardo il Mishkan, è scritto: “Il fuoco sull’altare sarà tenuto acceso e non si spegnerà; ogni mattina il sacerdote gli darà legna, vi disporrà sopra l’olocausto e brucerà le parti grasse delle offerte di shelamim… Un fuoco perpetuo sarà tenuto acceso sull’altare e non si spegnerà” (Vayikra. 6:5-6). In questo caso, in riferimento al fuoco sull’altare, vediamo che la locuzione “tamid” viene utilizzata nel senso di sempre, perpetuamente. “Tamid”, quindi, può avere due significati: Può essere inteso come perpetuo, non spegnersi mai (Vayikra 6,5-6); e regolarmente, ogni sera (Vayikra 24:2-4 e Shemot 27:20). La locuzione “tamid” rappresenta due cadenze importanti: Quella persistente, senza fine, e ciò che si ripresenta. Il nostro resspiro comprende questi due elementi. Respiriamo tutta la nostra vita, ma con una forma di inspirazioni ed espirazioni. Con questa intuizione, possiamo derivare come il Ner Tamid della sinagoga contenga entrambi questi elementi della parola. Il Ner Tamid può rappresentare D-o, l’ebraismo, il nostro legame con il popolo ebraico come una costante, da un lato, ma dall’altro riconosce che tali rapporti possono avere pulsazioni e oscillazioni proprie.
La complessità dell’illuminazione con queste caratteristiche sembra ben rappresentata da un racconto nel Midrash Tanchuma, dal quale si evince che Moshè ebbe difficoltà a seguire le istruzioni di D-o su come realizzare la Menorà: “Moshè trovava ancora difficoltà con essa e, quando scese (dal Sinai), ne dimenticò la costruzione. Si avvicinò e disse: “Maestro dell’Universo, ho dimenticato [come farlo]!” D-o gli disse: “Guarda e creala”; D-o creò la sua forma dal fuoco e gli mostrò la sua struttura. Tuttavia, Moshè trovò ancora difficile la sua costruzione” (Midrash Tanchuma, Beha’alotecha). Troviamo un’idea simile in un altro midrash: “Vedi che Moshè lottò con il disegno della Menorà più che con tutti gli altri vasi del Mishkan, finché il Santo Benedetto Egli Sia glielo mostrò con un dito“.
Perché quei dettagli erano così impossibili da ricordare? Cosa ci insegna questa narrazione? Dopotutto, Moshè è colui che è stato in grado di ricordare l’intera Torà e, secondo la Mishna di Avot, è stato in grado di tramandare l’intero insegnamento orale. Come può una mente così abile e dotata avere difficoltà a ricordare i dettagli della Menorà?
La risposta dei Chachamim è che forse la Torà ci sta dicendo che anche la mente più dotata è più forte in alcune aree e più debole in altre. Moshè fu un grande modello per tutto il nostro popolo, eppure anche lui era imperfetto. Betzalel (come architetto del Mishkan), che non diede un grande contributo all’insegnamento della Torà come Moshè, fu in grado di dare un contributo senza tempo che andava oltre le capacità di Moshè”.
I molteplici significati della parola “tamid” – intesa come costantemente presente o come uno schema ripetitivo – rispecchiano le molteplici sfaccettature dell’essere umano. Moshè e Bezalel ci ricordano questa condizione quando si trattò di creare la Menorà e tramite la mitzvà di accendere le sue “lampade regolarmente/ner tamid” (Shemot 27:20). Il Ner Tamid rappresenta la realtà secondo cui ognuno di noi, con le caratteristiche uniche che possiede, è in grado di creare qualcosa di buono, di contribuire alla costruzione di qualcosa di grande come fare la propira parte nel creare una società adatta ad essere dimora di D-o.