Parashat Vayigash – Saper sopprimere il risentimento
Nella Parashà di questa settimana, Yosef rivela la sua vera identità ai suoi fratelli. Dopo l’appassionata arringa di Yehuda per il rilascio di Binyamin, la Torà ci dice che Yosef non riuscì più a trattenersi (Bereshit 45:1) . Rashi spiega che il non poter trattenersi significa che Yosef non poteva sopportare il pensiero di mettere in imbarazzo i suoi fratelli davanti agli egiziani presenti nella stanza. La rivelazione della sua vera identità avrebbe significato rivelare che i suoi fratelli lo avevano venduto, e questo sarebbe stato per loro estremamente umiliante. Pertanto, Yosef ordinò a tutti i suoi servi egiziani di lasciare la stanza, prima di dichiarare: “Io sono Yosef”.
Potremmo chiederci da dove Rashi ricava che Yosef era principalmente interessato a prevenire l’imbarazzo dei suoi fratelli. Leggendo i pesukim della Torà potremmo pensare che Yosef ha fatto uscire i suoi servi perché non sarebbe stato corretto che un grande leader piangesse davanti ai suoi subordinati. In altre parole, potremmo pensare che forse Yosef era interessato solo a prevenire più il proprio imbarazzo che quello dei fratelli. L’Iture Torà risponde a questa affermazione sottolineando come nel pasuk è scritto che Yosef, subito dopo aver fatto uscire i suoi servi, alzò la voce e gridò così forte che tutto l’Egitto e tutti nel palazzo del Faraone udirono i suoi singhiozzi (Bereshit 45:2). Chiaramente, quindi, questi pesukim evidenziano come Yosef non fosse preoccupato di mantenere la propria dignità se si comportava così. Ne consegue che deve aver licenziato gli egiziani solo per evitare la pubblica umiliazione dei suoi fratelli.
Il comportamento di Yosef ci insegna fino a che punto dobbiamo spingerci per evitare di mettere in imbarazzo gli altri. Poco dopo essere scoppiato in lacrime, Yosef dice ai suoi fratelli: “Io sono Yosef, vostro fratello, che voi avete venduto all’Egitto” (Bereshit 45:4). L’Or haChaim scrive nel suo commento che la parola “vostro fratello”, che sembra essere superflua in questo contesto, in realtà trasmette un messaggio importante. Attraverso l’aggiunta intenzionale di questa parola, Yosef sta dicendo alla sua famiglia: “Anche quando mi avete venduto in Egitto, ero ancora vostro fratello. Anche nel mezzo di quel periodo incredibilmente difficile, vi amavo ancora e mi sentivo ancora connesso a voi.” . Lo Sfat Emet sottolinea un altro dettaglio importante nelle parole usate da Yosef: La parola asher (“che”) in questo versetto può avere la connotazione di yasher kochacha, chazak uvarukh, un’espressione che significa “congratulazioni” o “grazie” (letteralmente, “La tua forza possa rimanere retta”) . Vediamo un esempio di questa definizione in Shemot 34:1, quando D-o dice a Moshè di scolpire una seconda volta le Tavole della Legge come le prime “che hai rotto” (asher shibarta). Il Talmud (Shabbat 87a) spiega che la parola asher riportata nel versetto significa, appunto, yasher kochacha – in altre parole, che Moshè meritava un encomio per aver rotto le prime Tavole della Legge. Sulla base di questa interpretazione, possiamo leggere la parola asher nel nostro versetto allo stesso modo. Yosef dice ai suoi fratelli: “Io sono Yosef, vostro fratello, che (Asher) avete venduto all’Egitto”. Secondo lo Sfat Emet, Yosef qui sta in realtà dicendo: “Mi congratulo con voi per avermi venduto all’Egitto, perché questo mi ha permesso di sostenere tutta la nostra famiglia”. Invece di amareggiarsi o arrabbiarsi per il modo in cui è stato trattato, Yosef vede e riconosce come le azioni dei fratelli abbiano effettivamente portato grandi benefici. Non dovrebbero essere condannati per averlo venduto; piuttosto, dovrebbero essere encomiati.
Possiamo solo immaginare come ci sentiremmo se fossimo stati al posto di Yosef: Per molti di noi sarebbe estremamente difficile superare il nostro dolore e il nostro risentimento. Eppure Yosef fa di tutto per trattare i suoi fratelli con rispetto. Non solo si preoccupa della loro possibile umiliazione, facendo uscire il proprio entourage affinché nessuna informazione denigratoria venga ascoltata, ma ringrazia anche i suoi fratelli per averlo venduto. Da qui possiamo imparare come affrontare le situazioni in cui ci sentiamo trascurati. Yosef non si lascia dominare dai sentimenti di amarezza per il passato. Sottolinea piuttosto gli aspetti positivi della situazione, dove riesce a relazionarsi con i suoi fratelli con vero calore e rispetto.
Dal comportamento di Yosef impariamo a coltivare un atteggiamento caloroso e amorevole verso ogni altra persona. Anche se il livello raggiunto da Yosef è molto alto e per molti di noi inarrivabile, da lui possiamo imparare a superare il risentimento verso il prossimo per il modo in cui siamo stati trattati in passato, possiamo imparare a superare il nostro dolore personale in modo da poter vedere il bene che sembra nascosto ma che ci può essere in ogni situazione. Proprio come Yosef si riunì e lavorò per l’unità della sua famiglia, cosa che a quel tempo portò, alla fine, la nascita e la redenzione per tutto il popolo ebraico, così possiamo e dobbiamo provare a lavorare per l’unità del popolo ebraico anche oggi ai giorni nostri, risultato che possiamo ottenere ognuno con le proprie differenze e le proprie caratteristiche uniche, attraverso la shemirat mitzvot (l’osservare le mitzvot), gli atti di chesed verso il prossimo, il miglioramento personale, facendo la nostra piccola parte per potere vivere insieme in una società più armoniosa e giusta e contribuendo, infine, a portare la redenzione finale, presto ai nostri giorni, amen.