Parashat Shemot – Da figlia del Faraone a figlia di D-o
a delle figure eroiche che appare brevemente nella Torà è Batya, la figlia del faraone. L’unica menzione che se ne fa nella Torà riguarda il momento cruciale nella storia ebraica quando estrasse il piccolo Moshè dal fiume Nilo. La Torà descrive quindi come mandò Moshè a farsi allattare nientemeno che dalla sua vera madre, Yocheved, e poi lo riportò a palazzo per crescerlo come un principe. I Chachamim ci forniscono una serie di dettagli su Batya che possono aiutarci a sviluppare una comprensione più profonda della sua grandezza.
La Torà ci dice che il motivo per cui Batya era al fiume era per lavarsi. La Ghemara di Sotà ci dice che in realtà andò a immergersi nel Nilo per purificarsi dagli idoli di suo padre. Rashi elabora ulteriormente e spiega che questa immersione implica che Batya si stava convertendo. Dato il contesto in quei tempi sembra un sorprendente atto di ribellione contro i valori e gli atteggiamenti degli egiziani e del Faraone, suo stesso padre. Il popolo ebraico si trovava nella situazione meno invidiabile che si potesse immaginare a questo punto della sua storia, prigionieri in una schiavitù senza fine inflitta dagli egiziani. Difficile immaginare che molti egiziani volessero compiere questo passo, tanto più qualcuno nella posizione di Batya che era la figlia dell’uomo e della nazione più potente del mondo.
La Ghemara continua il suo racconto di ciò che accadde quando Moshe apparve nel fiume. Ci dice che quando Batya l’ha visto voleva salvarlo. Rendendosi conto che non poteva che essere un ragazzo ebreo, le ancelle di Batya cercarono di impedirglielo sostenendo che, “la via del mondo è che se un re emana decreti, anche se il mondo intero non li segue, almeno i suoi stessi figli dovrebbero seguirli; Eppure stai trasgredendo il decreto di tuo padre!” (Sotà 12b). Batya non ascoltò le loro suppliche, anzi si sforzò per salvare il bambino ebreo. Ciò indica che Batya possedeva un forte senso della linea di condotta morale anche quando contraddiceva l’imperativo morale di obbedire al proprio padre. Il Midrash sviluppa ulteriormente la nostra comprensione delle qualità di questa donna unica. Nel Libro delle Cronache ci viene detto che Batya sposò un uomo di nome Mered. Il Midrash ci dice che Mered altri non era che Kalev Ben Yefunne, l’uomo famoso per essere stato uno dei due esploratori che resistettero alle pressioni degli altri dieci esploratori che parlavano male della terra d’Israele. Perché, allora, il Profeta lo chiama Mered, la cui radice significa ribelle? Il Midrash risponde; “Si ribellò contro le spie e lei si ribellò contro il consiglio di suo padre. Lascia che il ribelle venga e sposi la ribelle”. (Vayikra Rabba). Ancora una volta, vediamo quindi i Chachamim enfatizzare la natura positiva della ribellione, come questa natura è stata applicata in modo positivo, al punto da essere paragonata all’ammirevole “ribelle”, Kalev, che nonostante la grande pressione si sforzò di agire nel modo corretto.
Questi insegnamenti dei Chachamim ci indicano come Batya incarnasse la qualità di andare contro le credenze e le azioni errate della società in cui è cresciuta, arrivando ad emulare così il primo ebreo, Avraham, che rifiutò i valori della società in cui era cresciuto per seguire la via giusta. Batya emulò Avraham anche in un altro senso; Nel corso della sua ribellione, Avraham agì in modo fortemente contrario nei confronti di suo padre, Terach, che possedeva un negozio di idoli. Un noto Midrash ci racconta come Avraham distrusse tutti gli idoli di suo padre tranne uno e poi affermò che l’idolo più grande aveva distrutto gli altri, esponendo così la caducità del sistema di credenze di suo padre. Sappiamo che onorare i propri genitori è un concetto fondamentale della Torà: Come si potrebbe conciliare il comportamento di Avraham con questo comandamento? La risposta è che onorare i propri genitori non significa essere obbligati a seguire il loro stile di vita se è fortemente e moralmente scorretto. Di conseguenza, Avraham aveva ragione nel rifiutare i valori di suo padre e nell’esporre gli errori, perché quella era la cosa giusta da fare. Allo stesso modo, Batya ha riconosciuto che nella situazione in cui si trovava – vedere un bambino ebreo abbandonato nel fiume – la linea d’azione moralmente corretta era andare contro il decreto di suo padre e salvare il bambino. Il suo rifiuto nell’aderire al sistema di credenze di suo padre non si limitava a questa singola azione. Il fatto che in seguito abbia sposato Kalev significa che si è certamente convertita all’ebraismo. In effetti il Midrash ci rivela come D-o stesso vedeva Batya: “Disse il Santo, Benedetto Egli sia, a Batya, figlia del Faraone, ‘Moshè non era tuo figlio, eppure tu lo chiamasti tuo figlio. Anche tu, non sei mia figlia, ma ti chiamerò figlia Mia’, come è scritto: ‘Questi sono i figli di Batya’ [che significa] figlia di D-o.” (Vayikra Rabba).
Questo fornisce una lezione fondamentale per tutti noi. La Torà pone grande enfasi sull’importanza di onorare e ascoltare i propri genitori, tuttavia onorare i propri genitori non include prendere le decisioni di vita che vogliono che il proprio figlio prenda, piuttosto si deve cercare la verità indipendentemente dalla propria educazione. Inoltre, l’ambiente in cui cresciamo, ha un’influenza rilevante. In noi sono insite capacità uniche che ci rendono dei potenziali grandi Uomini, capaci di prendere le decisioni giuste e di fare la cosa giusta quando questo si rende necessario, lasciando la nostra impronta unica ed indelebile e dando l’esempio ad altri per creare, infine, una catena di atti di chesed e di mitzvot che potrà portare solo del bene al prossimo e alla società in cui viviamo.